Con la sentenza n. 10415 del 1° giugno scorso la Cassazione chiarisce la portata dell’art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/90 relativo al regime del trasferimento d’azienda in stato di crisi, introdotto per adeguare la normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia (in causa C-561/07) che aveva dichiarato la previgente disciplina in contrasto con la direttiva 2001/23. I giudici di legittimità, seguendo un’interpretazione della norma conforme al diritto dell’UE, precisano che la situazione di impresa in stato di crisi postula un procedimento che mira a favorire la prosecuzione dell’attività, in prospettiva di una futura ripresa e si discosta da procedure concorsuali liquidative rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. Da ciò la conclusione che lo stato di crisi aziendale non possa costituire motivo per una riduzione dei livelli occupazionali e non consenta di derogare al principio generale secondo cui il trasferimento di un’azienda o parte di essa non giustifica il licenziamento, sia per l’impresa cedente che per quella cessionaria.
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Le ultime notizie dal mondo del lavoro
La Corte di giustizia respinge il rinvio relativo ai licenziamenti collettivi nel Jobs Act
Con ordinanza del 4 giugno la Corte di giustizia ha dichiarato la propria manifesta incompetenza a decidere sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli in merito al supposto contrasto con il diritto dell’UE del vigente regime sanzionatorio relativo ai licenziamenti collettivi, come riformato dal c.d. Jobs Act. La questione era stata sollevata in relazione all’art.10 del d.lgs.23/15 che prevede una sanzione meramente indennitaria (dello stesso importo previsto per il licenziamento individuale ingiustificato: tra i 6 e i 36 mesi di retribuzione) in caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nell’ambito di un licenziamento collettivo, introducendo così una palese disparità di trattamento rispetto ai lavoratori con rapporti già in essere al 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. 23/15), ai quali spetta la tutela reintegratoria. Per i giudici di Lussemburgo la materia non ha alcuna connessione con il diritto dell’Unione, non riguardando profili regolati dalla direttiva 98/59 che si limita ad imporre il rispetto di una procedura di informazione e consultazione sindacale; da ciò la loro incompetenza a valutare la compatibilità della normativa nazionale con l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, letta alla luce dell’art. 24 della Carta sociale europea, che riconosce il diritto ad una tutela adeguata ed effettiva in caso di licenziamento illegittimo.
Pubblicato il c.d. Decreto rilancio: tutte le misure per la fase 2
Finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (c.d. decreto rilancio).
In materia di ammortizzatori, oltre al prolungamento della durata della Cigo e della Cigs ed alla proroga della Cassa in deroga, è previsto il pagamento diretto dell’INPS del 40% delle ore autorizzate per le imprese non in grado di anticipare il trattamento. Tra le indennità una tantum, un assegno di 500 euro (per aprile e maggio) ai lavoratori domestici con contratti di oltre 10 ore settimanali, mentre è aumentata a 1000 euro l’indennità per gli autonomi. Il c.d. reddito di emergenza si riduce ad un assegno di 400 euro (incrementabile fino ad un massimo di 800) erogato per due mesi ai nuclei familiari indigenti che non beneficino di altre indennità.
Innalzata a 30 giorni la durata del congedo per figli fino a 12 anni, da utilizzare entro il 31 luglio, e aumentati di 12 giorni i premessi retribuiti ex legge n. 104/92, per i mesi di maggio e giugno.
Viene prolungato a cinque mesi (con decorrenza dal 17 marzo) sia il divieto di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggetto che la sospensione delle procedure dei licenziamenti collettivi. I contratti a termine (anche in somministrazione) diventano rinnovabili e prorogabili senza causale fino al 31 agosto. Il diritto al lavoro agile (già previsto per i disabili) è adesso riconosciuto anche ai genitori che abbiano almeno un figlio minore di 14 anni. Nel Pubblico impiego il lavoro agile resta la “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione fino al 31 dicembre 2020.
La controversa regolarizzazione dei lavoratori migranti ha una durata di 6 mesi e riguarda soltanto colf, badanti, baby sitter e lavoratori dell’agricoltura e della pesca, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. Tutti gli altri restano senza diritti e protezioni.
Emergenza coronavirus: in vigore il Decreto Cura-Italia
Con l’entrata in vigore del d.l 17 marzo 2020 n.18 vengono adottate misure finalizzate a contenere l’impatto dell’emergenza epidemiologica sul mercato del lavoro. La cassa integrazione in deroga è estesa a tutti i lavoratori subordinati non coperti da quella ordinaria e dai fondi di solidarietà (con l’eccezione dei lavoratori domestici, che restano quindi privi di protezione). Agli autonomi e co.co.co. spetta un’indennità una tantum di 600 euro; analoga prestazione è prevista per stagionali del turismo, agricoli a tempo determinato e lavoratori dello spettacolo.
Viene riconosciuto il diritto ad un congedo parentale speciale fino a 15 giorni con indennità pari al 50% della retribuzione (o in alternativa un voucher per baby sitter da 600 euro) ed il diritto di astenersi dal lavoro senza retribuzione per i genitori con figli di età compresa tra i 12 e i 16 anni. La quarantena imposta ai soggetti positivi al virus è equiparata alla malattia.
Il lavoro agile diventa un diritto per i disabili e per chi ha un familiare con disabilità. I licenziamenti economici e collettivi sono vietati per 60 giorni.
Emergenza coronavirus: le parti sociali siglano il protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
Il 14 marzo Cgil, Cisl e Uil hanno siglato con le principali confederazioni datoriali il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, dando così concreta attuazione alle raccomandazioni elencate nel punto 7 del DPCM dell’11 marzo in relazione alle misure di sicurezza da adottare sui luoghi di lavoro.
Emergenza coronavirus: la Commissione di garanzia vieta gli scioperi fino al 31 marzo
La Commissione di garanzia ha pubblicato un comunicato stampa con il quale invita tutte le organizzazioni sindacali a sospendere la proclamazione di qualsiasi sciopero fino al 31 marzo, in ragione dello stato di emergenza sanitaria dovuto all’epidemia da Covid-19. Con successiva delibera adottata ai sensi dell’art.13, comma 1 lett. c), l. 146/90 ha invitato i sindacati autonomi all’immediata sospensione degli scioperi proclamati per il 9 marzo. L’art.2, comma 7 della legge 146 (che la Commissione non richiama) prevede comunque il diritto di scioperare senza rispettare i limiti di legge in caso di “protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori“.
Secondo il Comitato europeo dei diritti sociali il Jobs Act viola gli standard della Carta sociale europea in materia di licenziamento
Il Comitato europeo dei diritti sociali, con decisione resa pubblica l’11 febbraio, ha riconosciuto che il d.lgs. 23/15 è in contrasto con l’art. 24 della Carta Sociale Europea. Secondo il Comitato il sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo configurato dal decreto legislativo n. 23/2015, anche dopo le modifiche apportate dal doppio intervento del legislatore (decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito nella legge 9 agosto 2018, n. 96) e della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 194 del 2018), resta privo dei requisiti di effettività (rispetto al ristoro dei danni subiti dal lavoratore) e deterrenza (rispetto al comportamento illegittimo del datore) richiesti dall’art. 24 della Carta. La legislazione italiana vigente infatti esclude a priori la possibilità di essere reintegrati nella maggior parte dei casi di licenziamento (fatte salve alcune rare eccezioni) e fissa l’importo massimo dell’indennizzo erogabile al lavoratore: il che impedisce al giudice di garantire al lavoratore la piena soddisfazione per il danno subito a causa del licenziamento.
Ai riders spettano le tutele dei lavoratori subordinati: lo conferma la Cassazione
Con la sentenza n. 1663, pubblicata il 24 gennaio 2020, la Corte di Cassazione è intervenuta nell’ormai noto caso Foodora riconoscendo ai riders il diritto all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2 d.lgs. 81/2015 (nella formulazione antecedente alla modifica operata dalla legge n.128/19) e, di conseguenza, al pagamento delle differenze retributive tra quanto spettante in qualità di fattorini subordinati (a termini del CCNL merci e logistica). Il discrimen fondamentale tra collaborazione genuina e collaborazione cui spettano le tutele del lavoro subordinato è tracciato dalla Corte in base alle modalità di coordinamento della prestazione alla organizzazione del committente: nel primo caso concordate e nel secondo imposte. E nel caso dei riders non vi era dubbio che le modalità della prestazione fossero stabilite in gran parte dalla piattaforma.
La Cassazione impedisce al CCNL di vietare il ricorso al lavoro intermittente
Con la pronuncia n. 29423 del 13 novembre 2019 la Corte di Cassazione afferma che un contratto collettivo nazionale non può escludere per la categoria di riferimento l’utilizzo di una tipologia contrattuale non standard, se le norme che regolano il contratto in questione non lo consentono espressamente, ma, anzi, prevedono un potere di intervento sostitutivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il caso riguardava il ricorso al lavoro intermittente (attualmente regolato dagli art. 13-18 del d.lgs. 81/15), ma il principio può considerarsi di valenza generale. Si tratta di una decisione discutibile per i limiti che essa pone all’esercizio dell’autonomia collettiva ed alla libertà sindacale garantita dall’art.39, comma 1 della Costituzione.
La Corte d’appello di Napoli solleva duplice questione di legittimità sulla disciplina dei licenziamenti collettivi, davanti alla Corte costituzionale ed alla Corte di giustizia
Arriva dalla Corte d’Appello di Napoli un nuovo e duplice affondo alla disciplina dei licenziamenti ridisegnata dal c.d. Jobs Act. Questa volta sono le regole relative ai licenziamenti collettivi ad essere contestate, sulla scia della recente ordinanza del Tribunale di Milano dello scorso 5 agosto. A differenza dei giudici milanesi però, quelli partenopei sollevano dubbi di legittimità in merito alla normativa in questione non solo rispetto al diritto dell’UE, ma anche in relazione ai principi costituzionali. Vengono infatti pronunciate simultaneamente due ordinanze di rimessione, l’una alla Corte costituzionale, l’altra (di pregiudizialità, ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’UE) alla Corte di giustizia, per chiedere ai supremi giudici italiani ed europei se il regime sanzionatorio previsto dal d.lgs.23/15 in caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nell’ambito della procedura di cui all’art.24 della legge 223/91, nell’escludere il diritto alla reintegra e prevedere una mera tutela indennitaria, sia o meno in contrasto sia con gli articoli 3, 4 , 24, 35, 38, 41 e 111 della Carta costituzionale (principio di eguaglianza e norme a tutela del lavoro), sia con gli articoli 20, 21 (principi di uguaglianza e non discriminazione), 30 (diritto a non essere licenziati senza giustificazione) e 47 (diritto ad una tutela giurisdizionale) della Carta dei diritti fondamentali dell’UE , nonché con l’art. 24 della Carta sociale europea (diritto alla tutela in caso di licenziamento illegittimo). Queste stesse norme “europee” sono oggetto anche di una questione di costituzionalità davanti alla Consulta, in ragione della loro natura di norme “interposte” ai sensi dell’art.117, comma 1 Cost.