La Cassazione penale precisa i presupposti del reato di caporalato

Con sentenza n. 7861 del 4 marzo 2022, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti per identificare i reati di intermediazione illecita (il c.d. caporalato commesso dall’ “intermediario”) e di sfruttamento del lavoro (commesso dal datore) di cui all’art. 603-bis del codice penale, i cui elementi costitutivi sono la “condizione di sfruttamento” del lavoratore e l’ “approfittamento dello stato di bisogno” da parte dell’autore del reato. Riguardo al primo elemento della fattispecie, la condizione di sfruttamento può sussistere anche nei confronti di un solo lavoratore e può essere ricavata dal giudice dalla sussistenza di uno solo degli indici elencati dal comma 3, da ritenersi non tassativi; mentre lo stato di bisogno, da cui l’autore del reato intende trarre vantaggio, consiste in una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose.

I contratti di prossimità ex art. 8 d.l. 138/11 al giudizio della Corte costituzionale

La Corte d’Appello di Napoli, con ordinanza dello scorso 3 febbraio, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità per violazione degli art. 2 e 39, comma 1 e 4 Cost. in relazione all’art. 8 d.l. 138/11, ovvero la disposizione che legittima la derogabilità in sede decentrata della legge e dei contratti collettivi nazionali attraverso la stipula dei c.d. accordi di prossimità. Secondo il giudice partenopeo, il limite costituzionale all’attribuzione ai contratti collettivi dell’efficacia erga omnes per legge riguarda anche i contratti aziendali, e non solo quelli di categoria come sostenuto da parte della dottrina.

La Corte di giustizia si esprime sulle “soluzioni ragionevoli” da adottare per evitare il licenziamento di un disabile

Con la sentenza XXX c. HR Rail SA del 10 febbraio scorso (causa C-485/20), la Corte di giustizia fa propria una nozione ampia di “soluzioni ragionevoli” che il datore deve adottare (ai sensi dell’art. 5, direttiva 2000/78) per evitare il licenziamento di un lavoratore disabile  in caso di sopraggiunta inidoneità a svolgere le proprie mansioni, ricomprendendovi anche l’assegnazione ad un diverso posto di lavoro per il quale disponga delle competenze, delle capacità e delle disponibilità. Tale obbligo grava sul datore anche in relazione ad un lavoratore assunto come tirocinante. Resta il limite dell’ “onere sproporzionato” che lo stesso art. 5 prevede non possa essere addossato al datore. Per effettuare una valutazione in merito “è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni”.

La Corte costituzionale giustifica il diniego del reddito di cittadinanza agli stranieri non soggiornanti di lungo periodo

La Corte costituzionale con la sentenza 19/22 depositata il 25 gennaio dichiara infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Bergamo in relazione al requisito che condiziona il diritto al reddito di cittadinanza al possesso del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo,  ovvero all’aver soggiornato per almeno 10 anni sul territorio nazionale (art.2, comma 1, lett. a, n.1, L. 26/19). Secondo la Consulta tale requisito non violerebbe nessun diritto fondamentale della persona (ex art.2 Cost) nè il principio di non discriminazione (ex 3 Cost. e art. 14 CEDU, invocato come norma interposta ai sensi dell’art.117, comma 1 Cost.) in quanto il reddito di cittadinanza deve considerarsi una misura di politica attiva e non una prestazione meramente assistenziale e non è quindi finalizzato a soddisfare vitali esigenze di sostentamento del destinatario. La decisione mal si concilia con la coeva sentenza con la quale la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme che subordinano la concessione agli stranieri extracomunitari del bonus bebè e dell’assegno di maternità alla condizione che siano titolari del permesso per soggiornanti UE di lungo periodo.

Introdotto l’obbligo di green pass rafforzato in tutti i luoghi di lavoro per gli over 50 (dal 15 febbraio)

Il d.l. n. 1 del 7 gennaio introduce l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini italiani e stranieri residenti in Italia che abbiano compiuto i cinquant’anni di età. A partire dal prossimo 15 febbraio e fino al 15 giugno, la mancata esibizione della certificazione verde Covid-19 al momento dell’accesso al lavoro determina la sospensione dal lavoro con diritto al mantenimento del posto e perdita della retribuzione, nonchè di qualsiasi altro compenso o emolumento (art. 1, comma 4). La misura è giustificata dal “fine di tutelare la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro”; bene evidentemente da considerarsi prevalente rispetto al diritto alla retribuzione (art. 36 comma 1) ed al lavoro (art.4), in un contesto di emergenza epidemiologica. Il suo mantenimento in presenza di bassi indici di contagio potrebbe tuttavia sollevare legittimi dubbi di costituzionalità.

Approvate con la legge di bilancio le norme antidelocalizzazione: solo (blande) sanzioni pecuniarie per le aziende

Con la legge di bilancio 2022 entrano in vigore le nuove disposizioni di contrasto alle delocalizzazioni (art.1, comma 224-238, l. 30 dicembre 2021, n.234). In realtà i vincoli per l’azienda sono di natura meramente procedurale: le imprese che abbiano almeno 250 dipendenti e che decidano di chiudere una loro unità produttiva con conseguente licenziamento di almeno 50 lavoratori, sono tenute ad attivare una procedura di confronto con le parti sociali e le autorità pubblica (regioni, Ministeri del lavoro e dello sviluppo economico ed ANPAL). Il confronto dovrebbe portare alla  presentazione da parte dell’azienda di un piano per limitare le ricadute occupazionali della chiusura. Resta intatto il potere di licenziare al termine della procedura: potere sanzionato con un mero aggravio degli obblighi di contribuzione (già previsti in caso di licenziamenti collettivi dall’art.2, comma 35, l. 92/12), qualora sia esercitato in assenza di un accordo sindacale o in violazione degli obblighi assunti con il piano.

Riformati gli ammortizzatori sociali con la legge di bilancio 2022

Diverse le novità in materia di lavoro contenute nella legge di bilancio 2022 (l. 30 dicembre 2022, n. 234). Le principali riguardano gli ammortizzatori sociali (art.1, commi 191-222), dei quali si è inteso ampliare l’ambito di applicazione e la durata; tra queste, la riduzione dell’anzianità minima per accedere alle integrazioni salariali (da 90 a 30 giorni), l’estensione del trattamento ai lavoratori a domicilio ed agli apprendisti, la fine del divieto di svolgere attività lavorative durante la percezione del trattamento, l’estensione della CIGS a tutti i datori con più di 15 dipendenti, l’estensione della causale della riorganizzazione aziendale a fronte di programmi finalizzati a realizzare processi di transizione, l’estensione della NASPI agli operai agricoli, l’aumento dell’importo e della durata della DIS-COLL.

Tra le altre novità, giro di vite sui tirocini extracurriculari, per i quali governo e conferenza permanente dovranno definire nuove linee guida al fine di contrastare gli abusi nel loro utilizzo (commi 720-726) e nuove agevolazioni contributive di sostegno all’occupazione ed a favore della maternità (comma 137). Riformata anche la disciplina del reddito di cittadinanza, con aggravamento degli oneri di attivazione per il beneficiario.

Presentata dalla Commissione europea la proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforma

Presentata dalla Commissione europea la proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforme: se adottata è destinata a rafforzare significativamente i diritti dei lavoratori della gig economy (riders e non solo). Con essa si intende introdurre una presunzione di subordinazione in presenza di indici quali il controllo sulla qualità dell’attività svolta, l’esclusività del rapporto o l’effettiva limitazione della libertà di scelta dell’orario.  Di fondamentale importanza le regole relative alla trasparenza nell’utilizzo degli algoritmi, da garantire attraverso specifici obblighi di informazione  ed attribuendo ai lavoratori (subordinati e autonomi) il diritto di contestare le decisioni automatizzate. L’adozione della direttiva permetterebbe anche un più efficace esercizio dei diritti collettivi, grazie al riconoscimento di diritti di informazione e consultazione sindacale.

Nuove regole per il lavoro agile: siglato il Protocollo tra governo e parti sociali

Siglato l’accordo tra parti sociali e governo sulle regole da applicare al lavoro agile (c.d. smart working) nel settore privato. Si intende così superare la fase emergenziale che ha permesso l’utilizzo di questa modalità di esecuzione del contratto di lavoro in un quadro di pressochè totale deregolamentazione.

Confermato il carattere volontario del ricorso al lavoro agile (il cui rifiuto non può rilevare a fini disciplinari) ed il ruolo centrale attribuito all’accordo individuale, cui spetta definire anche specifiche misure tecniche/organizzative per garantire la disconnessione. Valorizzata la formazione, attraverso la previsione di percorsi formativi finalizzati ad incrementare le competenze tecniche, organizzative e digitali del lavoratore. Resta escluso, di norma, il ricorso allo straordinario.

Deliveroo condannata a rispettare i diritti sindacali e a disapplicare il contratto “pirata” Assodelivery-UGL

Si consolida la giurisprudenza favorevole ad una piena estensione ai riders delle tutele proprie dei lavoratori subordinati. Il Tribunale di Firenze, accogliendo il ricorso di Filcams, Nidil e Filt in opposizione al decreto del 9 febbraio scorso, impone a Deliveroo il rispetto dei diritti di informazione e consultazione sindacale (ex d.lgs. 25/07 e l. 223/91) e riconosce che UGL riders è un “sindacato di comodo” (ai sensi dell’art.17 l. 300/70) , in quanto tale non legittimato a sottoscrivere accordi capaci di regolare (anche) in deroga il rapporto di lavoro dei riders, ai sensi dell’art.2, comma 2, d.lgs.81/15: da ciò il carattere illegittimo dell’imposizione a tutti i lavoratori dell’accordo Assodelivery-UGL, pena il recesso dal rapporto di lavoro.