Con la sentenza n. 27711 pubblicata il 2 ottobre, la Cassazione accoglie il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva considerato insindacabile il trattamento retributivo corrisposto in applicazione del CCNL Vigilanza privata, in quanto siglato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, come prescritto dalla pertinente normativa (art.7, comma 4 d.l. 248/07, relativa ai soci lavoratori di cooperativa). In forza di una dotta e articolata motivazione, i Giudici di legittimità affermano il principio di diritto per il quale al giudice spetta comunque la facoltà di valutare la conformità del trattamento retributivo al precetto costituzionale dell’art. 36 Cost., anche quando (come nel caso di specie) questo deriva dall’applicazione di un CCNL “leader”, cui rinvia la legge. Tale valutazione deve fondarsi sia sul confronto con gli standard salariali previsti in altri CCNL di settori affini o per mansioni analoghe o utilizzando indicatori economici e statistici, ivi compresi quelli indicati nella direttiva UE 2022/2041 (che a sua volta rinvia agli indici internazionali del 60% del salario mediano o del 50 % del salario medio).
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Le ultime notizie dal mondo del lavoro
Uber Eats condannata dal Tribunale di Milano per condotta antisindacale: ordine di riassunzione per 4000 riders
Storica decisione del Tribunale di Milano che accoglie il ricorso per condotta antisindacale ex art. 28 Statuto dei lavoratori di alcune organizzazioni di categoria della CGIL. La decisione della piattaforma di food delivery Uber Eats di cessare l’attività in Italia e di risolvere i rapporti di lavoro di 400o riders è illegittima per mancata attivazione delle procedure di informazione e consultazione previste dalla normativa in materia di licenziamenti collettivi (l.223/91) e dalla recente normativa “anti-delocalizzazioni” (l. 234/21). Si tratta del primo caso di applicazione di quest’ultima normativa, applicabile a prescindere dalla natura subordinata (come riconosciuto in questo caso) o etero-organizzata (ex art. 2, d.lgs. 81/15) dei lavoratori interessati dalla cessazione dell’attività.
Il TAR Lombardia interviene in materia salariale e “legittima” i salari minimi del CCNL “Vigilanza privata e servizi fiduciari”
Opinabile sentenza del TAR Lombardia che, con decisione a quanto consta priva di precedenti, annulla l’atto di disposizione (adottato ai sensi dell’art. 14, comma 1, d.lgs. 124/04) con il quale l’Ispettorato del lavoro di Como-Lecco aveva ordinato ad una cooperativa che applicava il CCNL “Vigilanza privata e servizi fiduciari” di corrispondere ai propri soci-lavoratori le differenze retributive rideterminate secondo le tabelle retributive previste dal CCNL “Multiservizi” . Con ciò contraddicendo una giurisprudenza ormai in via di consolidamento, che reputa i minimi salariali previsti dal CCNL servizi fiduciari inferiori al livello di adeguatezza imposto dall’art. 36 Cost.
Convertito il legge il Decreto lavoro: agevolati i rinnovi dei contratti a termine
Poche le novità introdotte dalla l. 3 luglio 2023, n. 94 in sede di conversione del c.d. Decreto lavoro (d.l. 48/23). Tra le più rilevanti, l’eliminazione della causale in caso di rinnovo di contratto a termine. L’obbligo di indicare le ragioni temporanee a giustificazione dell’assunzione (previste dalla contrattazione collettiva o, entro il 30.4.2024, individuata dalle parti) resta solo in caso di superamento dei 12 mesi di durata complessiva del rapporto. Da salutare positivamente l’eliminazione della possibilità di assolvere gli obblighi di informazione previsti dal c.d. decreto trasparenza (d.lgs, 104/22) tramite la mera indicazione dei riferimenti normativi o di contratto collettivo, in caso di rapporti di lavoro con orario non programmabile, caratterizzati da modalità organizzative in tutto o in gran parte imprevedibili. Prorogato il diritto al lavoro agile per i lavoratori fragili (fino al 30 settembre) e permesso in forma semplificata ai lavoratori con figli di età inferiore ai 14 anni o più esposti a rischio Covid (fino al 31 dicembre)
Incostituzionale il differimento del t.f.s. dei dipendenti pubblici
Con la sentenza n. 130/23 depositata lo scorso 23 giugno, la Corte costituzionale riconosce che il differimento e la rateizzazione della corresponsione del trattamento di fine servizio ai dipendenti pubblici viola il diritto alla giusta retribuzione sancito dall’art. 36 Cost.. Spetta al legislatore individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto del rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta. Un intervento in tal senso non è però più differibile, dal momento che la stessa Corte aveva già invitato il legislatore a superare la normativa vigente con la sentenza 159/19.
Sub iudice l’obbligo di rispettare i minimi salariali previsti dal CCNL da parte delle compagnie aeree: accolto dal Tribunale UE il ricorso di Ryanair
Il Tribunale dell’UE (sentenza 24 maggio 2023, causa T-268/21, Ryanair c. Commissione europea) accoglie il ricorso di Ryanair e annulla la decisione della Commissione europea con la quale erano stati concessi gli aiuti finanziari alle compagnie aeree per compensare i danni prodotti dalla pandemia. La compagnia irlandese lamentava di non averne potuto beneficiare, non avendo rispettato l’obbligo di rispettare gli standard salariali fissati dal CCNL firmato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Secondo i giudici europei la Commissione non ha adeguatamente motivato la supposta compatibilità di tale obbligo con il diritto dell’UE in materia di concorrenza e mercato interno. A rischio c’è la tenuta di analoghi obblighi previsti dalla legislazione nazionale per contrastare il dumping contrattuale (a partire da quelli previsti in materia di appalti pubblici).
Approvata la direttiva sulla parità salariale di genere
In vigore la direttiva UE 2023/970 finalizzata a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza retributiva. Gli Stati devono adottare misure affinchè i datori pubblici e privati (e le parti sociali in sede di contrattazione) si dotino di sistemi di valutazione e classificazione professionale neutri sotto il profilo del genere che escludano qualsiasi discriminazione retributiva, diretta e indiretta, fondata sul sesso. Rafforzati i diritti di informazione e le tutele processuali: sotto questo profilo merita particolare attenzione la previsione che fa gravare sul datore l’onere di provare l’assenza della discriminazione.
Il c.d. decreto lavoro cancella il reddito di cittadinanza, agevola il ricorso al contratto a termine e semplifica gli obblighi di informazione per le aziende
Entrato in vigore il c.d. Decreto Lavoro (d.l. 4 maggio 2023, n. 48), biglietto da visita del governo Meloni in materia sociale e di lavoro. Come ampiamente annunciato e previsto dall’ultima legge di bilancio, esce di scena il reddito di cittadinanza, sostituito da gennaio 2024 dall’Assegno per l’inclusione che spetterà ai nuclei familiari composti da almeno un soggetto disabile o minorenne o ultrasessantenne o invalido civile. Ai componenti di altri nuclei familiari con ISEE inferiore a 6000 euro, è invece destinato il Supporto per la formazione e il lavoro. I beneficiari delle nuove prestazioni sono assoggettati a rigidi criteri di condizionalità, a beneficio delle imprese in cerca di lavoro a basso costo.
In materia di lavoro, per superare i 12 mesi di utilizzo di un lavoratore a termine è temporaneamente (fino ad aprile 2024) re-introdotta la causale unica, con la precisazione che le “esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva” sono individuate dalle parti (cioè dal datore); ciò sempre che i contratti collettivi applicati in azienda non prevedano già specifiche causali. Viene poi ulteriormente elevato l’importo massimo del compenso dei lavoratori occasionali (15 mila euro), nel settore del turismo e termale. Significative semplificazioni sono previste per gli obblighi di informazione e trasparenza, recentemente introdotti con il d.lgs. 104/22. A carico della fiscalità, l’intervento sui salari che dal 1° luglio al 31 dicembre comporta una riduzione parziale dell’onere contributivo per i lavoratori dipendenti (con conseguente aumento tra 20 e 40 euro mensili).
In vigore il nuovo codice degli appalti pubblici: liberalizzato il subappalto ma rafforzate le clausole sociali di equo trattamento
Ambivalenti novità caratterizzano l’impianto regolatorio previsto dal nuovo codice dei contratti pubblici, destinato ad avere efficacia dal prossimo 1 luglio (d.lgs. n. 36 del 31 marzo 2023). Se il superamento dei previgenti limiti al subappalto, associati all’elevazione della soglia prevista per l’affidamento diretto, configurano evidenti rischi di elusione degli obblighi di legge in materia sociale ed ambientale, restano confermate le disposizioni a tutela della continuità dell’occupazione (art. 57) e di contrasto al dumping contrattuale. Sotto questo secondo profilo, il nuovo art. 11 rafforza perfino gli obblighi per le imprese aggiudicatarie di rispettare il c.d. CCNL leader, dal momento che impone alla stazione appaltante di indicarlo nel bando di gara o nell’invito, salva la possibilità di applicare un diverso CCNL se questo garantisce tutele equivalenti. La dichiarazione di equivalenza è verificata dalla stazione appaltante in sede di valutazione dell’anomalia dell’offerta.
La Consulta salva gli accordi di prossimità: inammissibili le questioni di legittimità sull’art. 8 d.l. n. 138/11
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 52/2023 deposita lo scorso 28 marzo, fa salvi gli accordi di prossimità di cui all’art. 8 d.l. n. 138/11, dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli con l’ordinanza del 3 febbraio 2022.
Nel farlo i Giudici delle leggi forniscono però un’interpretazione restrittiva dei presupposti di tali accordi, dai quali dipendono gli effetti previsti dalla legge (efficacia erga omnes e derogabilità della legge e dei CCNL), ricordando che devono essere firmati da sindacati comparativamente più rappresentativi e approvati dalla maggioranza dei lavoratori, che deve sussistere una delle finalità tassativamente previste dalla legge e che non possono vertere su istituti retributivi. In assenza di tali presupposti, l’efficacia degli accordi aziendali resta “solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori“, cioè non può riguardare lavoratori e sindacati non firmatari che manifestano il proprio dissenso all’accordo.