Il c.d. decreto lavoro cancella il reddito di cittadinanza, agevola il ricorso al contratto a termine e semplifica gli obblighi di informazione per le aziende

Entrato in vigore il c.d. Decreto Lavoro (d.l. 4 maggio 2023, n. 48), biglietto da visita del governo Meloni in materia sociale e di lavoro. Come ampiamente annunciato e previsto dall’ultima legge di bilancio, esce di scena il reddito di cittadinanza, sostituito da gennaio 2024 dall’Assegno per l’inclusione che spetterà ai nuclei familiari composti da almeno un soggetto disabile o minorenne o ultrasessantenne o invalido civile. Ai componenti di altri nuclei familiari con ISEE inferiore a 6000 euro, è invece destinato il Supporto per la formazione e il lavoro. I beneficiari delle nuove prestazioni sono assoggettati a rigidi criteri di condizionalità, a beneficio delle imprese in cerca di lavoro a basso costo.

In materia di lavoro, per superare i 12 mesi di utilizzo di un lavoratore a termine è temporaneamente (fino ad aprile 2024) re-introdotta la causale unica, con la precisazione  che le “esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva” sono individuate dalle parti (cioè dal datore); ciò sempre che i contratti collettivi applicati in azienda non prevedano già specifiche causali. Viene poi ulteriormente elevato l’importo massimo del compenso dei lavoratori occasionali (15 mila euro), nel settore del turismo e termale. Significative semplificazioni sono previste per gli obblighi di informazione e trasparenza, recentemente introdotti con il d.lgs. 104/22. A carico della fiscalità, l’intervento sui salari che dal 1° luglio al 31 dicembre comporta una riduzione parziale dell’onere contributivo per i lavoratori dipendenti (con conseguente aumento tra 20 e 40 euro mensili).

In vigore il nuovo codice degli appalti pubblici: liberalizzato il subappalto ma rafforzate le clausole sociali di equo trattamento

Ambivalenti novità caratterizzano l’impianto regolatorio previsto dal nuovo codice dei contratti pubblici, destinato ad avere efficacia dal prossimo 1 luglio (d.lgs. n. 36 del 31 marzo 2023). Se il superamento dei previgenti limiti al subappalto, associati all’elevazione della soglia prevista per l’affidamento diretto, configurano evidenti rischi di elusione degli obblighi di legge in materia sociale ed ambientale, restano confermate le disposizioni a tutela della continuità dell’occupazione (art. 57) e di contrasto al dumping contrattuale. Sotto questo secondo profilo, il nuovo art. 11 rafforza perfino gli obblighi per le imprese aggiudicatarie di rispettare il c.d. CCNL leader, dal momento che impone alla stazione appaltante di indicarlo nel bando di gara o nell’invito, salva la possibilità di applicare un diverso CCNL se questo garantisce tutele equivalenti. La dichiarazione di equivalenza è verificata dalla stazione appaltante in sede di  valutazione dell’anomalia dell’offerta.

La Consulta salva gli accordi di prossimità: inammissibili le questioni di legittimità sull’art. 8 d.l. n. 138/11

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 52/2023 deposita lo scorso 28 marzo, fa salvi gli accordi di prossimità di cui all’art. 8 d.l. n. 138/11, dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli con l’ordinanza del 3 febbraio 2022.

Nel farlo i Giudici delle leggi forniscono però un’interpretazione restrittiva dei presupposti di tali accordi, dai quali dipendono gli effetti previsti dalla legge (efficacia erga omnes e derogabilità della legge e dei CCNL), ricordando che devono essere firmati da sindacati comparativamente più rappresentativi e approvati dalla maggioranza dei lavoratori, che deve sussistere una delle finalità tassativamente previste dalla legge e che non possono vertere su istituti retributivi. In assenza di tali presupposti, l’efficacia degli accordi aziendali resta “solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori“, cioè non può riguardare lavoratori e sindacati non firmatari che manifestano il proprio dissenso all’accordo.

Attuata la direttiva 2019/1937 a tutela dei c.d. whistleblowers

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 24 del 15 marzo scorso è data finalmente attuazione alla direttiva “Whistleblowing” (2019/1937) che tutela chi denuncia violazioni del diritto dell’UE e nazionale da parte di pubbliche amministrazioni e imprese. La facoltà di segnalazione è riconosciuta non solo ai lavoratori dipendenti, ma anche ad autonomi, volontari, tirocinanti, azionisti nonché a chi ricopre incarichi di amministrazione, direzione, controllo o vigilanza. Previa consultazione sindacale, imprese e amministrazioni pubbliche dovranno attivare appositi canali di segnalazione interna, che garantiscano la riservatezza. Previsto anche un canale di segnalazione “esterna” gestito dall’Autorità Nazionale Anti-Corruzione. Ai whistleblowers  è assicurata la tutela contro qualsiasi forma di discriminazione o ritorsione.

Il Consiglio di Stato censura la Commissione di garanzia e riduce da 20 a 10 giorni la durata della c.d. rarefazione oggettiva in caso di sciopero nel trasporto locale

Accogliendo in appello due ricorsi della Filt-Cgil e della Fit-Cisl il Consiglio di Stato (sentenze n. 2115 e 2116 del 1° marzo) annulla la delibera di provvisoria regolamentazione dello sciopero con la quale la Commissione di garanzia aveva esteso da 10 a 20 giorni la durata della c.d. rarefazione oggettiva, modificando l’accordo del 28 febbraio 2018 sulle prestazioni indispensabili nel settore del trasporto pubblico locale. La delibera della Commissione risulta viziata per carenza di motivazione, non avendo i Garanti dimostrato con dati attendibili che una simile compressione del diritto di sciopero fosse giustificata da un intensificarsi del conflitto collettivo nel settore.

Le Sezioni Unite della Cassazione negano il diritto alla stabilizzazione ai precari delle Fondazioni lirico-sinfoniche

Finisce male  la tormentata vicenda giudiziaria che in questi anni ha impegnato i precari delle fondazioni lirico-sinfoniche nel tentativo di ottenere la stabilizzazione. Con una duplica decisione (sentenze n. 5542 e 5556 del 22 febbraio), le SS.UU. della Cassazione escludono che la nullità dei loro contratti a termine dovuta all’assenza di ragioni oggettive possa comportare l’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato. Lo esclude la legislazione speciale in materia, da considerarsi norma imperativa derogatoria della generale disciplina del contratto a termine. In caso di reiterazione dei contratti affetti da nullità, resta il rimedio del risarcimento del c.d. “danno comunitario” (quantificabile tra 2,5 e 12 mensilità), con esonero dell’onere della prova per il lavoratore. Restano però anche i dubbi di legittimità costituzionale della normativa in materia, già oggetto di censura da parte della Corte costituzionale (sentenza 260/2015).

Legittimo l’obbligo di vaccinazione per il Covid 19: la Consulta chiude la questione

Con tre sentenze coeve (n. 14, n. 15 e n. 16 del 9 febbraio) la Corte costituzionale chiude definitivamente la questione relativa alla legittimità dell’obbligo vaccinale, imposto con la legislazione emergenziale per far fronte alla pandemia da Covid 19. Sulla scia della loro precedente giurisprudenza, i Giudici delle leggi confermano che l’art.32 Cost. consente al legislatore di introdurre l’obbligo di vaccinazione per tutelare la salute pubblica; ciò in virtù del generale principio di solidarietà che grava su tutti i cittadini. Il bilanciamento con la tutela della salute del singolo, in ipotesi esposto a possibili eventi avversi, si traduce nel diritto ad un indennizzo (previsto dalla legge 210/92). La libertà del singolo per altro resta preservata dalla possibilità di non adempiere l’obbligo, dal momento che questo non è coercibile ma solo produttivo delle conseguenze negative previste dalla legge (anche sul piano del rapporto di lavoro)

La Consulta detta le condizioni per la ripetizione delle prestazioni previdenziali non pensionistiche percepite indebitamente

Con la sentenza n. 8 del 27 gennaio la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità della ripetibilità dell’indebito previdenziale, per la quale il soggetto che riceve prestazioni di carattere non pensionistico (nel caso di specie, l’indennità di disoccupazione) senza averne diritto è tenuto a restituirle (ai sensi dell’art.2033 c.c.), al contrario, appunto, di quanto avviene per le prestazioni pensionistiche. I Giudici delle leggi giungono a questa conclusione considerando esistenti nell’ordinamento italiano i presupposti richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo perché si possa ritenere rispettato il principio del legittimo affidamento. Ciò in quanto la clausola della buona fede oggettiva (ricavabile dagli artt. 1175 e 1337 c.c.) da una parte, tramite la rateizzazione, consente di adeguare l’adempimento della prestazione restitutoria alle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato, dall’altra, in presenza di particolari condizioni personali dello stesso che attengono a diritti inviolabili, può comportare una inesigibilità temporanea o parziale.