In vigore il “decreto dignità”: tetto di 24 mesi ai contratti a termine e indennizzo più alto per il licenziamento

E’ entrato in vigore il D.L. n. 87 del 12 luglio 2018 che, nella sua prima parte, riduce da 36 a 24 mesi la durata massima complessiva del contratto a termine. Il superamento dei 12 mesi, anche per affetto di proroga o rinnovo, diventa possibile solo per ragioni di carattere temporaneo. Restano esclusi i lavori stagionali mentre deroghe ai nuovi limiti sono possibili attraverso la contrattazione collettiva e con accordo davanti all’ispettorato del lavoro. La riforma incide anche sull’utilizzabilità dei lavoratori in somministrazione, visto che gli stessi limiti valgono in caso di assunzione da parte di un’Agenzia.

Aumentato anche l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori assunti con il contratto  a tutela crescenti: potrà arrivare fino a 36 mesi di retribuzione e non può essere inferiore a 6. Resta comunque il meccanismo di calcolo rigido e automatico dell’indennizzo, che aumenta di due mensilità ogni anno di servizio.

Queste novità dovranno adesso passare al vaglio del Parlamento, che ha sessanta giorni per convertire il decreto in legge ordinaria.

 

Circolare dell’INL sulla responsabilità dello pseudo-appaltante per gli inadempimenti contributivi in caso di appalto illecito

Con la circolare n.10/2018 dell’11 luglio l’Ispettorato Nazionale del Lavoro affronta il problema della responsabilità dello pseudo-appaltatore nel caso in cui il lavoratore non abbia agito in giudizio nei suoi confronti per ottenere la costituzione del rapporto ex art.414 c.p.c. Osserva l’INL che, pur restando esclusa l’instaurazione ex  lege del rapporto di lavoro, l’utilizzatore deve comunque considerarsi responsabile per il versamento dei contributi evasi dallo pseudo-appaltatore in virtù del carattere pubblicistico del rapporto previdenziale, come tale sottratto alla disponibilità delle parti. Da ciò la possibilità del personale ispettivo di procedere nei suoi confronti al recupero dei contributi dovuti durante l’esecuzione dell’appalto, fatta salva l’incidenza satisfattiva dei pagamenti effettuati dallo pseudo-appaltatore. A conforto di tale conclusione viene richiamata anche la recente sentenza della Corte costituzionale n. 254/2017 in materia di subfornitura, che ha riconosciuto il carattere di principio generale al regime della solidarietà in qualsiasi ipotesi di dissociazione tra titolarità del rapporto di lavoro e utilizzo della prestazione

Adottata la nuova direttiva sul distacco transnazionale: più margine agli Stati per contrastare il dumping salariale

Dopo un lungo e travagliato iter legislativo è stata adottata la direttiva 2018/957 del 28 giugno 2018 che riforma la disciplina del distacco transnazionale contenuta nella direttiva 1996/71. La nuova direttiva dovrebbe favorire una più efficace azione di contrasto al dumping salariale operato nell’ambito degli appalti transnazionali e attraverso le agenzie di somministrazione. Tra le novità più rilevanti c’è il riconoscimento per gli Stati membri della possibilità di imporre alle imprese straniere il rispetto dei medesimi standard retributivi applicati dalle imprese nazionali. Introdotto anche un limite di durata massima del distacco (12 mesi, prorogabili fino a 18) oltre il quale il lavoratore straniero deve intendersi stabilmente impiegato sul territorio nazionale. Per l’Italia non cambia però molto: resta infatti aperto il problema dell’applicabilità alle imprese straniere di contratti collettivi privi di efficacia erga omnes.

La Corte costituzionale riconosce la libertà sindacale dei militari, grazie anche alla Carta sociale europea.

Anche i militari hanno diritto a costituire organizzazioni sindacali, ma non possono aderire ad organizzazioni di altre categorie di lavoratori né esercitare il diritto di sciopero. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 120/2018 dichiarando la parziale incostituzionalità dell’art.1475, comma 2 del d.lgs. n. 66/2010 (codice dell’ordinamento militare). La decisione della Corte si è fondata anche sull’art. 5 della Carta sociale europea sulla libertà di organizzazione sindacale. Alla fonte del Consiglio d’Europa viene riconosciuta la natura di norma interposta ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost., ma la Consulta nega di essere vincolata dalle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, del quale rimarca il carattere di organismo non giurisdizionale (proprio invece della Corte europea dei diritti dell’uomo). Si tratta di un’affermazione che potrebbe condizionare la futura decisione della Corte sulla questione di costituzionalità relativa al contratto a tutele crescenti (d.lgs. 23/15), che il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 26 luglio 2017, ha sollevato richiamando proprio la giurisprudenza del Comitato.

L’ANAC pubblica le linee guida sulle clausole sociali negli appalti: esclusa la loro applicazione rigida

Pubblicate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione le Linee guida recanti “La disciplina delle clausole sociali”. Si tratta di un documento con il quale l’ANAC fornisce la propria interpretazione della vigente normativa dettata dall’art. 50 del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016) ed oggetto di una consultazione pubblica prima di acquisire carattere di atto di indirizzo definitivo. Ne emerge una lettura riduttiva degli obblighi di riassunzione imposti nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti e concessioni pubbliche, secondo la quale in sostanza ben poco sarebbe cambiato rispetto al regime precedente: le clausole, pur diventate obbligatorie, restano “flessibili” cioè destinate ad essere disapplicate ogni volta che l’impresa subentrante in un appalto necessiti di minori risorse lavorative per eseguirlo e presenti un’organizzazione aziendale incompatibile con l’assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente.

Il Tribunale di Torino nega ai riders di Foodora lo status (e i diritti) di lavoratori subordinati

Con la sentenza 778/2018 pubblicata il 7 maggio il Tribunale di Torino esclude che i “postini” di Foodora possano considerarsi lavoratori subordinati e, come tali, possano rivendicare l’applicazione del CCNL di categoria e le tutele contro il licenziamento arbitrario. Decisivo per il giudice l’assenza dell’obbligo di effettuare le prestazioni di lavoro e, per il datore, di riceverle. Confermerebbe il carattere autonomo del rapporto (sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa) anche l’assenza di ordini specifici in merito all’esecuzione della prestazione e della relativa attività di vigilanza da parte del committente. Irrilevante, a parere del giudice, la riforma del c.d. lavoro etero-organizzato (art. 2, dlgs. 81/15) che (con buona pace di chi l’ha realizzata) non limiterebbe affatto l’utilizzo delle co-co-co.

La Corte costituzionale amplia la possibilità per il lavoratore di ottenere la compensazione delle spese processuali in caso di soccombenza

Con la sentenza n. 77 del 19 aprile la Corte ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 92 del codice di procedura civile, norma che, dopo la riforma operata dal 132/2014, limitava fortemente la possibilità per il lavoratore di evitare la condanna alle spese processuali in caso di soccombenza in giudizio. Grazie alla sentenza diventa possibile ottenere la compensazione (parzialmente o per intero) quando esistono “gravi ed eccezionali ragioni” valutate dal giudice. Pur negando che il diritto alla compensazione possa di per sé derivare dalla debolezza contrattuale del lavoratore , i giudici delle leggi fanno rientrare nella valutazione del giudice anche le ipotesi in cui il lavoratore debba promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti e decisivi che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro. Ne deriva la possibilità di ottenere la compensazione in tutte le cause promosse per contestare decisioni datoriali fondate su ragioni economiche o produttive (in primis, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo).