In vigore le nuove norme sui riders: tutele minime senza subordinazione

Pubblicato il decreto legge 101 del 3 settembre 2019 (“Misure urgenti per la tutela del lavoro e la risoluzione di crisi aziendali”) che introduce tutele specifiche per i c.d. riders (in vigore 180 giorni dalla pubblicazione del decreto) e riconosce che la disciplina del Jobs Act relativa alle collaborazioni coordinate e continuative (art.2, d.lgs. 81/15) si applica anche ai lavoratori utilizzati tramite piattaforme digitali (ivi compresa l’estensione delle tutele del lavoro subordinato ai c.d. lavoratori etero-organizzati). Per i riders si conferma la natura di lavoratori non subordinati e si dispone la tutela  antinfortunistica a carico del committente e la retributiva a base oraria in presenza dell’obbligo di rispondere almeno ad una chiamata.

Il decreto contiene poi disposizioni per far fronte a diverse crisi industriali presenti sul territorio nazionale, per favorire la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e per permettere il finanziamento del Fondo disabili da parte di soggetti privati..

In sede di conversione è ovviamente possibile che il testo del decreto subisca delle modifiche.

 

Il Jobs Act arriva in Corte di giustizia: dubbi di compatibilità con il diritto dell’UE della disciplina sui licenziamenti collettivi

Dopo le sostanziali correzioni imposte dai giudici costituzionali (sentenza 194/18) e di legittimità al regime del c.d. contratto a tutele crescenti, potrebbero essere i giudici europei a cancellare la parte del Jobs Act relativa ai licenziamenti collettivi.

La sezione lavoro del Tribunale di Milano, con ordinanza  del 5 agosto, ha infatti rimesso alla Corte di giustizia una duplice questione di compatibilità con il diritto dell’UE della normativa in materia di licenziamenti collettivi prevista dall’art.10, d.lgs. 23/15. La norma, nel negare il diritto alla reintegra dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 licenziati in violazione dei criteri di scelta previsti dalla l. 223/91, violerebbe sia il principio di parità di trattamento previsto dalla direttiva 1999/70 (assicurando un minor tutela ai lavoratori il cui rapporto di lavoro è stato convertito a tempo indeterminato successivamente a tale data, ma assunti a termine precedentemente) sia la direttiva 98/59 (relativa ai licenziamenti collettivi) e gli art. 20 e 30 della Carta dei diritti dell’UE (relativi rispettivamente al principio di non discriminazioni ed al diritto a non essere ingiustamente licenziati).

 

Adottate in extremis le direttive UE sulle condizioni di lavoro trasparenti e sulla conciliazione vita-lavoro

Proprio allo scadere della legislatura l’UE si ricorda della propria anima sociale e adotta due importanti direttive in materia di lavoro, in attuazione del c.d. Pilastro Sociale Europeo solennemente proclamato nel novembre 2017. Tra le (in vero poche) novità della direttiva 2019/1158 (relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza), il rafforzamento dei congedi per paternità e del diritto ad ottenere modalità di lavoro flessibili per l’assistenza ai familiari. Più rilevanti le potenziali novità introdotte con la direttiva 2019/1152 (relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea), non solo per l’ampliamento dei diritti di informazione sulle condizioni di lavoro ma soprattutto per l’introduzione di norme anti-abuso a tutela dei lavoratori a chiamata e per le tutele previste in caso di rapporti di lavoro con orario in tutto o in parte imprevedibile. Sotto questo profilo restano tuttavia dubbi in merito all’ambito di applicazione della direttiva, che, escludendo i lavoratori autonomi, rischia di lasciar fuori buona parte del lavoro svolto tramite piattaforma digitale.

Legittimo per la Consulta il differimento del pagamento del TFS per i dipendenti pubblici cessati prima del raggiungimento dell’età pensionabile

Con la sentenza n. 159 del 25 giugno la Corte costituzionale ha salvato le norme che dispongono il differimento (da 12 a 24 mesi) ed il pagamento rateale del TFS per i dipendenti pubblici (art.1, comma 22, lett. a), l. n. 148/2011 e art.1, comma 484, l. n. 147/2013). Ciò però limitatamente ai lavoratori che abbiano cessato l’attività prima del raggiungimento dell’età pensionabile. In questo caso, osserva la Corte, non c’è violazione nè dell’art. 3 Cost. (vista la non comparabilità tra lavoro pubblico e lavoro privato) nè dell’art.36 Cost. (visto che il meccanismo di differimento può considerarsi una legittima misura di incentivo a posticipare il pensionamento). Pur non esprimendosi sulla legittimità costituzionale del pagamento differito e rateizzato del TFS in caso di raggiungimento dei limiti di età pensionabile, la Corte invita il legislatore a rivedere la normativa a riguardo onde evitarne possibili censure future.

La Cassazione amplia il diritto alla reintegra nel contratto a tutele crescenti

Con la sentenza n.12174 dell’8 maggio scorso la Corte di Cassazione smonta un altro pezzo del Jobs Act, interpretando la discussa nuova disciplina sul licenziamento contenuta nel d.lgs. 23/15 in modo da garantire il diritto alla reintegrazione del lavoratore quando un licenziamento è avvenuto per un fatto privo di rilievo disciplinare.  Nonostante l’art.3, comma 1, d.lgs. 23/15 ammetta la reintegrazione solo in caso di “insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta escluda ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”, una lettura costituzionalmente orientata della norma impone infatti “di considerare che qualsivoglia giudizio di responsabilità, in qualunque campo del diritto punitivo venga espresso, richiede per il fatto materiale ascritto, dal punto di vista soggettivo, la riferibilità dello stesso all’agente e, da quello oggettivo, la riconducibilità del medesimo nell’ambito delle azioni giuridicamente apprezzabili come fonte di responsabilità”.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro interviene di nuovo in tema di rappresentatività dei sindacati firmatari di CCNL

Facendo seguito alla precedente circolare n.3/2018, con la circolare n. 7 dello scorso 6 maggio l’Ispettorato nazionale del lavoro fornisce ulteriori direttive agli ispettori in merito al cruciale problema della selezione dei CCNL in base al criterio della maggior rappresentatività comparata dei soggetti firmatari, al fine di riconoscere  alle imprese i benefici normativi e contributivi ai sensi dell’art.1, comma 1175, legge n. 296/2006. Ciò che conta, precisa l’INL, è che l’impresa applichi condizioni di lavoro e salariali equivalenti o superiori rispetto a quanto previsto dal CCNL  “leader” del settore, indipendentemente dal CCNL formalmente applicato. Ne consegue un onere probatorio a carico degli ispettore di non facile assolvimento, che rischia di aumentare il contenzioso in materia.