La legge 128/2019 di conversione del d.l. n. 101/19 (Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali) conferma l’esclusione della natura subordinata dei rapporti di lavoro svolti tramite piattaforme digitali ma, rispetto alla versione originaria del d.l., da una parteamplia l’ambito di applicazione del c.d. lavoro etero-organizzato (cui si applica la disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2, comma 1), dall’altra rafforza le tutele previste per i c.d. riders. A questi ultimi è infatti assicurato un compenso parametrato ai minimi tabellari previsti per attività affini dal CCNL (in assenza di specifici contratti collettivi che stabiliscano diversi criteri di determinazione del compenso) e sono estese alcune tutele mutuate dal lavoro subordinato: dal divieto di discriminazione, ai diritti di informazione, alla tutela della privacy, fino al divieto di esclusione dalla piattaforma o riduzione delle occasioni di lavoro in caso di mancata accettazione di una prestazione. Restano ampi dubbi sulla portata delle norme, la cui soluzione è rimessa alla giurisprudenza.
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Bollettino-6-2019
INPS, INL Confindustria, Cgil, Cisl e Uil firmano la Convenzione per accertare la rappresentatività sindacale
Il 19 settembre l’INPS e l’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) hanno sottoscritto con Confindustria, Cgil, Cisl e Uil la Convenzione che regola le precedute per la raccolta e l’elaborazione dei dati associativi ed elettorali dei sindacati che hanno sottoscritto il Testo Unico della rappresentanza del 10 gennaio 2014, al fine di calcolarne il grado di rappresentatività. Ciò permetterà all’INPS ed all’INL (nell’ambito delle rispettive competenze) di individuare con maggior certezza i CCNL c.d. “leader”, da assumere come riferimento per la determinazione degli oneri contributivi e per il riconoscimento dei benefici normativi e contributivi che la legge condiziona all’applicazione del CCNL firmato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Le regole contenute nella Convenzione si estendono anche ai sindacati non firmatari della stessa che abbiano aderito al TU del 2014. Resta il fatto che, in virtù della sua natura privatistica, la Convenzione non può produrre effetti nell’ordinamento giuridico, ovvero non risolve il problema dell’efficacia dei contratti collettivi, la cui soluzione resta nelle mani del legislatore.
In vigore le nuove norme sui riders: tutele minime senza subordinazione
Pubblicato il decreto legge 101 del 3 settembre 2019 (“Misure urgenti per la tutela del lavoro e la risoluzione di crisi aziendali”) che introduce tutele specifiche per i c.d. riders (in vigore 180 giorni dalla pubblicazione del decreto) e riconosce che la disciplina del Jobs Act relativa alle collaborazioni coordinate e continuative (art.2, d.lgs. 81/15) si applica anche ai lavoratori utilizzati tramite piattaforme digitali (ivi compresa l’estensione delle tutele del lavoro subordinato ai c.d. lavoratori etero-organizzati). Per i riders si conferma la natura di lavoratori non subordinati e si dispone la tutela antinfortunistica a carico del committente e la retributiva a base oraria in presenza dell’obbligo di rispondere almeno ad una chiamata.
Il decreto contiene poi disposizioni per far fronte a diverse crisi industriali presenti sul territorio nazionale, per favorire la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e per permettere il finanziamento del Fondo disabili da parte di soggetti privati..
In sede di conversione è ovviamente possibile che il testo del decreto subisca delle modifiche.
Il Jobs Act arriva in Corte di giustizia: dubbi di compatibilità con il diritto dell’UE della disciplina sui licenziamenti collettivi
Dopo le sostanziali correzioni imposte dai giudici costituzionali (sentenza 194/18) e di legittimità al regime del c.d. contratto a tutele crescenti, potrebbero essere i giudici europei a cancellare la parte del Jobs Act relativa ai licenziamenti collettivi.
La sezione lavoro del Tribunale di Milano, con ordinanza del 5 agosto, ha infatti rimesso alla Corte di giustizia una duplice questione di compatibilità con il diritto dell’UE della normativa in materia di licenziamenti collettivi prevista dall’art.10, d.lgs. 23/15. La norma, nel negare il diritto alla reintegra dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 licenziati in violazione dei criteri di scelta previsti dalla l. 223/91, violerebbe sia il principio di parità di trattamento previsto dalla direttiva 1999/70 (assicurando un minor tutela ai lavoratori il cui rapporto di lavoro è stato convertito a tempo indeterminato successivamente a tale data, ma assunti a termine precedentemente) sia la direttiva 98/59 (relativa ai licenziamenti collettivi) e gli art. 20 e 30 della Carta dei diritti dell’UE (relativi rispettivamente al principio di non discriminazioni ed al diritto a non essere ingiustamente licenziati).
Bollettino n. 5 – 2019
Adottate in extremis le direttive UE sulle condizioni di lavoro trasparenti e sulla conciliazione vita-lavoro
Proprio allo scadere della legislatura l’UE si ricorda della propria anima sociale e adotta due importanti direttive in materia di lavoro, in attuazione del c.d. Pilastro Sociale Europeo solennemente proclamato nel novembre 2017. Tra le (in vero poche) novità della direttiva 2019/1158 (relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza), il rafforzamento dei congedi per paternità e del diritto ad ottenere modalità di lavoro flessibili per l’assistenza ai familiari. Più rilevanti le potenziali novità introdotte con la direttiva 2019/1152 (relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea), non solo per l’ampliamento dei diritti di informazione sulle condizioni di lavoro ma soprattutto per l’introduzione di norme anti-abuso a tutela dei lavoratori a chiamata e per le tutele previste in caso di rapporti di lavoro con orario in tutto o in parte imprevedibile. Sotto questo profilo restano tuttavia dubbi in merito all’ambito di applicazione della direttiva, che, escludendo i lavoratori autonomi, rischia di lasciar fuori buona parte del lavoro svolto tramite piattaforma digitale.
Legittimo per la Consulta il differimento del pagamento del TFS per i dipendenti pubblici cessati prima del raggiungimento dell’età pensionabile
Con la sentenza n. 159 del 25 giugno la Corte costituzionale ha salvato le norme che dispongono il differimento (da 12 a 24 mesi) ed il pagamento rateale del TFS per i dipendenti pubblici (art.1, comma 22, lett. a), l. n. 148/2011 e art.1, comma 484, l. n. 147/2013). Ciò però limitatamente ai lavoratori che abbiano cessato l’attività prima del raggiungimento dell’età pensionabile. In questo caso, osserva la Corte, non c’è violazione nè dell’art. 3 Cost. (vista la non comparabilità tra lavoro pubblico e lavoro privato) nè dell’art.36 Cost. (visto che il meccanismo di differimento può considerarsi una legittima misura di incentivo a posticipare il pensionamento). Pur non esprimendosi sulla legittimità costituzionale del pagamento differito e rateizzato del TFS in caso di raggiungimento dei limiti di età pensionabile, la Corte invita il legislatore a rivedere la normativa a riguardo onde evitarne possibili censure future.