In vigore il c.d. decreto Agosto: proroghe degli ammortizzatori, sgravi per assunzioni e blocco dei licenziamenti

E’ entrato in vigore il c.d. decreto Agosto (D.L. 14 agosto 2020, n. 104), il terzo contenente misure per far fronte alla crisi pandemica dopo i c.d. decreti “Cura Italia” e “Rilancio”. Tra le misure in materia di lavoro: estensione di ulteriori 18 settimane (fino al il 31 dicembre) della durata di CIGO, assegno ordinario e Cassa in deroga (c.d. Cassa Covid), con obbligo di contribuzione per i datori che chiedano la proroga dopo i primi 9 mesi di erogazione (art. 1); esonero contributivo per 4 mesi per chi non accede alla Cassa (art. 3); proroga per 2 mesi di Naspi e Dis-Coll (art. 5); sgravi contributivi totali per chi assume a tempo indeterminato (per 6 mesi) o a termine (per 3 mesi), fino al 31 dicembre (art. 6); possibilità di rinnovare o prorogare i contratti a termine per un periodo massimo di 12 mesi anche in assenza di causale (art. 8); nuove indennità per lavoratori del turismo, intermittenti, autonomi privi di partita IVA, incaricati alle vendite a domicilio (art. 9), marittimi (art. 1o) e sportivi (art. 12). Resta il divieto di licenziamento individuale per GMO e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo, fino al termine della fruizione delle integrazioni salariali o dell’esonero contributivo (cioè fino almeno al 14 novembre) (art.14).

Convertito in legge il c.d. decreto rilancio: prorogati i contratti a termine e ampliato il diritto allo smart working

Nella legge di conversione del c.d. decreto rilancio (legge 17 luglio 2020, n. 77) è stata inserita qualche novità degna di nota rispetto al testo originario. In particolare si prevede  l’automatica proroga del termine dei contratti  a tempo determinato (anche in somministrazione) e dell’apprendistato, per il tempo corrispondente alla sospensione dell’attività lavorativa causata dall’emergenza sanitaria e la possibilità di prorogare e rinnovare comunque fino al 30 agosto i contratti in essere al 23 febbraio 2020; il diritto allo smart working per i lavoratori più esposti a rischio contagio; la possibilità di beneficiare dei congedi Covid 19 (30 giorni con figli fino a 12 anni) fino al 30 agosto; il prolungamento a 45 giorni (rispetto ai 10 originari) fino al 17 agosto della durata dell’esame congiunto in caso di trasferimento d’azienda. La legge di conversione interviene anche sulle categorie protette, includendo nella quota di riserva chi, al compimento della maggiore età, si trova a vivere fuori dalla famiglia d’origine in virtù di provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Incostituzionale (anche) l’indennizzo previsto dal Jobs Act per i licenziamenti con vizi di forma

La Corte costituzionale smonta un altro pezzo del Jobs Act e dichiara l’incostituzionalità dell’art. 4 del d. lgs. 23/15, norma che, in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali (violazione dell’obbligo di motivazione ex art.2, legge 604/66) e procedurali (violazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori) tutela il lavoratore con un indennizzo di importo pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio, fino ad un massimo di 12 mensilità (sentenza n. 150 del 16 luglio). Tale meccanismo di calcolo automatico, fondato sulla sola anzianità di servizio, è contrario sia ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., sia ai principi dettati dagli artt. 4 e 35 Cost. a tutela del lavoro in tutte le sue forme e della dignità del lavoratore. Al  giudice va dunque restituita la potestà di valutare l’importo dell’indennizzo, al fine di garantirne l’adeguatezza tenendo conto di fattori ulteriori rispetto all’anzianità.

La Cassazione fa chiarezza sul trasferimento d’azienda in crisi: nessuna deroga al divieto di licenziamento

Con la sentenza n. 10415 del 1° giugno scorso  la Cassazione chiarisce la portata dell’art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/90 relativo al regime del trasferimento d’azienda in stato di crisi, introdotto per adeguare la normativa nazionale alla sentenza della Corte di giustizia (in causa C-561/07) che aveva dichiarato la previgente disciplina in contrasto con la direttiva 2001/23. I giudici di legittimità, seguendo un’interpretazione della norma conforme al diritto dell’UE, precisano che la situazione di impresa in stato di crisi postula un procedimento che mira a favorire la prosecuzione dell’attività, in prospettiva di una futura ripresa e si discosta da procedure concorsuali liquidative rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. Da ciò la conclusione che lo stato di crisi aziendale non possa costituire motivo per una riduzione dei livelli occupazionali e non consenta di derogare al principio generale secondo cui il trasferimento di un’azienda o parte di essa non giustifica il licenziamento, sia per l’impresa cedente che per quella cessionaria.

La Corte di giustizia respinge il rinvio relativo ai licenziamenti collettivi nel Jobs Act

Con ordinanza del 4 giugno la Corte di giustizia ha dichiarato la propria manifesta incompetenza a decidere sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli in merito al supposto contrasto con il diritto dell’UE del vigente regime sanzionatorio relativo ai licenziamenti collettivi, come riformato dal c.d. Jobs Act. La questione era stata sollevata in relazione all’art.10 del d.lgs.23/15 che prevede una sanzione meramente indennitaria (dello stesso importo previsto per il licenziamento individuale ingiustificato: tra i 6 e i 36 mesi di retribuzione) in caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nell’ambito di un licenziamento collettivo, introducendo così una palese disparità di trattamento rispetto ai lavoratori con rapporti già in essere al 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d.lgs. 23/15), ai quali spetta la tutela reintegratoria. Per i giudici di Lussemburgo la materia non ha alcuna connessione con il diritto dell’Unione, non riguardando profili regolati dalla direttiva 98/59 che si limita ad imporre il rispetto di una procedura di informazione e consultazione sindacale; da ciò la loro incompetenza a valutare la compatibilità della normativa nazionale con l’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, letta alla luce dell’art. 24 della Carta sociale europea, che riconosce il diritto ad una tutela adeguata ed effettiva in caso di licenziamento illegittimo.

Pubblicato il c.d. Decreto rilancio: tutte le misure per la fase 2

Finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (c.d. decreto rilancio).

In materia di ammortizzatori, oltre al prolungamento della durata della Cigo e della Cigs ed alla proroga della Cassa in deroga, è previsto il pagamento diretto dell’INPS del 40% delle ore autorizzate per le imprese non in grado di anticipare il trattamento. Tra le indennità una tantum, un assegno di 500 euro (per aprile e maggio) ai lavoratori domestici con contratti di oltre 10 ore settimanali, mentre è aumentata  a 1000 euro l’indennità per gli autonomi. Il c.d. reddito di emergenza si riduce ad un assegno di 400 euro (incrementabile fino ad un massimo di 800) erogato per due mesi ai nuclei familiari indigenti che non beneficino di altre indennità.

Innalzata a 30 giorni la durata del congedo per figli fino a 12 anni, da utilizzare entro il 31 luglio, e aumentati di 12 giorni i premessi retribuiti ex legge n. 104/92, per i mesi di maggio e giugno.

Viene prolungato a cinque mesi (con decorrenza dal 17 marzo) sia il divieto di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggetto che la sospensione delle procedure dei licenziamenti collettivi. I contratti a termine (anche in somministrazione)  diventano rinnovabili e prorogabili senza causale fino al 31 agosto. Il  diritto al lavoro agile (già previsto per i disabili) è adesso riconosciuto anche ai genitori che abbiano almeno un figlio minore di 14 anni. Nel Pubblico impiego il lavoro agile resta la “modalità ordinaria” di svolgimento della prestazione fino al 31 dicembre 2020.

La controversa regolarizzazione dei lavoratori migranti ha una durata di 6 mesi e riguarda soltanto colf, badanti, baby sitter e lavoratori dell’agricoltura e della pesca, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. Tutti gli altri restano senza diritti e protezioni.